Uno dei settori che è stato maggiormente compromesso dalla pandemia da Covid-19 è stato quello della ristorazione. Pizzerie, pub, ristoranti e locali di ogni genere hanno dovuto abbassare la saracinesca di fronte all’emergenza sanitaria. La maggior parte di questi business è stato messo in ginocchio da una situazione in cui le uscite sono restate grosso modo invariate, mentre le entrate si sono più che dimezzate. Molti locali hanno quindi deciso di rimanere chiusi, altri non sanno se riusciranno mai a riaprire.
Comincia però a vedersi, almeno in apparenza, la luce in fondo al tunnel. Il nuovo DPCM del 26 aprile riporta i primi segnali di apertura che per le attività di ristorazione passa dalle consegne a domicilio e dagli ordini d’asporto. Andiamo innanzitutto a vedere la parte del decreto che riguarda questa tipologia di attività.
DPCM 26 aprile
All’articolo 1 lettera aa si parla dei servizi di ristorazione e si decreta quanto segue:
Sono sospese le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie), ad esclusione delle mense e del catering continuativo su base contrattuale, che garantiscono la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro. Resta consentita la ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto, nonché la ristorazione con asporto fermo restando l’obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, il divieto di consumare i prodotti all’interno dei locali e il divieto di sostare nelle immediate vicinanze degli stessi.
Quindi resta la possibilità di vendere cibo attraverso le consegne a domicilio, un servizio che evidentemente non tutti i locali hanno implementato nel corso del tempo. Inoltre alcune regioni, come ad esempio la Campania, hanno aperto a questo possibilità solo da pochi giorni, mentre prima era interdetta. Inoltre le consegne devono avvenire nel rispetto di uno stringente protocollo di sicurezza, che approfondiremo più avanti.
La novità è il cibo d’asporto che, dal 4 maggio, gli avventori potranno consumare solo lontano dal locale, senza creare calche e assembramenti. Una soluzione temporanea che scontenta molti, non tutti i locali infatti trovano conveniente tenere aperta la cucina in favore di un potenziale incasso molto ridotto rispetto alla media dei periodi pre-crisi.
Oltre a questo però il governo ha fatto sapere che queste attività sono in coda rispetto all’ordine delle riaperture, quindi non potranno riaccogliere i clienti all’interno dei locali prima di giugno. La FIPE, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, si è fatta portavoce delle istanze del settore criticando aspramente l’operato di Palazzo Chigi:
Abbiamo appreso che saremo anche gli ultimi a poter riaprire il prossimo 1° giugno aggravando le già pesanti perdite fin qui accumulate. Oltre a ciò, i nostri dipendenti stanno ancora aspettando la cassa integrazione, il decreto liquidità stenta a decollare e le misure straordinarie preannunciate restano, per il momento, solo buone intenzioni. Forse non è chiaro che così si mettono a rischio migliaia di imprese e centinaia di migliaia di posti di lavoro. Servono risorse e servono subito a fondo perduto, senza ulteriori lungaggini o tentennamenti. Sappiamo solo quanto dovremo stare ancora chiusi mentre non è noto quando le misure di sostegno verranno messe in atto. Tutto questo a dispetto delle stesse indicazioni che vengono dall’Inail secondo cui i pubblici esercizi sono attività a basso rischio e del serio protocollo che la categoria ha messo a punto per riaprire in sicurezza. Uno Stato giusto si misura dalla capacità di prendersi cura delle piccole imprese, perché le grandi imprese quasi sempre hanno strumenti ed organizzazione per fare da sole.
La Federazione ha già fatto partire una petizione per la riapertura di bar e ristoranti dal 18 maggio, come accadrà per altri esercizi. Inoltre si è occupata di redarre, sotto la supervisione scientifica di un qualificato infettivologo, un protocollo di sicurezza per la ripartenza con ben 35 pagine di indicazioni per riaprire, ma in sicurezza.
Le regole per le consegne a domicilio
Il patto implicito che regola le attività legate al cibo restate operative, seppur a regime ridotto, è il rispetto delle norme di sicurezza e l’igiene del prodotto, sia in fase di produzione che di trasporto. Per questo chi è riuscito a proseguire negli affari attraverso le consegne a domicilio ha dovuto fare ancora più attenzione al protocollo Haccp che analizza i rischi per la sicurezza e l’igiene.
Per riassumere queste regole facciamo riferimento alle linee guide diramate da Assodelivery, associazione dell’industria del food delivery, in linea con le direttive del Ministero della Salute:
- Mettere a disposizione, da parte dei ristoratori, prodotti igienizzanti e assicurare il rispetto delle distanze di sicurezza da parte dei dipendenti;
- stabilire aree destinate al ritiro del cibo preparato, da pulire e igienizzare con procedure straordinarie. Queste aree devono essere separate dai locali destinati alla preparazione del cibo;
- il ritiro del cibo deve avvenire nel rispetto delle distanze ed evitando alcun contatto diretto;
- il cibo preparato viene chiuso in appositi contenitori (o sacchetti) tramite adesivi chiudi-sacchetto, graffette o altro, per assicurarne la massima protezione.
- il cibo preparato deve essere riposto immediatamente negli zaini termici o nei contenitori per il trasporto che devono essere mantenuti puliti con prodotti igienizzanti, per assicurare il mantenimento dei requisiti di sicurezza alimentare. A questo proposito per non cadere in errore basta semplicemente dotarsi di contenitori isotermici per trasportare alimenti a norma Haccp;
- la consegna del cibo deve avvenire nel rispetto delle distanze ed evitando alcun contatto diretto;
- chiunque presenti sintomi simili all’influenza non può lavorare. Inoltre, secondo il DPCM 26 aprile, chiunque abbia una temperatura superiore ai 37,5° deve obbligatoriamente restare nel proprio domicilio.