Sono in costante aumento le presenze nelle celle della carceri del Lazio e tornano ad affollarsi le prigioni regionali. E’ la denuncia evidenziata nel corso del XVII Consiglio Regionale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, che si sta tenendo a Roma presso la Scuola della Polizia Penitenziaria “Giovanni Falcone”.
Maurizio Somma, segretario nazionale per il Lazio del SAPPE, snocciola le cifre: “Oggi abbiamo nelle 14 carceri della Regione 6.208 persone detenute, 5832 uomini e 376 donne. Più di 2.300 sono in attesa di un giudizio definitivo. Le prigioni più affollate sono le Case Circondariali romane di Rebibbia (1.417) e Regina Coeli (930). Il penitenziario laziale con il maggior numero di stranieri ristretti è Rieti (66% dei presenti), seguito da Viterbo (60%), Civitavecchia (59%) e Regina Coeli (54%). Oltre duemila, infine, i detenuti che scontano una pena sul territorio in regime di misura alternativa alla detenzione”.
Il SAPPE ricorda che, nell’anno 2016, nelle 14 carceri regionali si sono verificati “747 atti di autolesionismo, 5 decessi naturali, 5 suicidi, 94 tentati suicidi sventati in tempo dalla Polizia Penitenziaria, 661 colluttazioni e 71 ferimenti. Da quando sono stati introdotti nelle carceri vigilanza dinamica e regime penitenziario aperto sono decuplicati eventi gli eventi critici in carcere”, aggiunge Somma. “Se è vero che il 95% dei detenuti sta fuori dalle celle tra le 8 e le 10 ore al giorno, è altrettanto vero che non tutti sono impegnati in attività lavorative e che anzi trascorrono il giorno a non far nulla. Ed è grave che sia aumentano il numero degli eventi critici nelle carceri da quando sono stati introdotti vigilanza dinamica e regime penitenziario aperto. Le stesse, gravi, recenti evasioni di Rebibbia e Frosinone sono sintomatiche di questo sfascio e di questo smantellamento delle politiche di sicurezza delle e nelle carceri”.
Su questo, Donato Capece, segretario generale del SAPPE, è netto nella denuncia: “Il sistema delle carceri non regge più, è farraginoso, e le evasioni ne sono la più evidente dimostrazione . Sono state tolte, ovunque, le sentinelle della Polizia Penitenziaria sulle mura di cinta delle carceri, e questo è gravissimo. I vertici dell’Amministrazione Penitenziaria hanno smantellato le politiche di sicurezza delle carceri preferendo una vigilanza dinamica e il regime penitenziario aperto, con detenuti fuori dalle celle per almeno 8 ore al giorno con controlli sporadici e occasionali. Mancano Agenti di Polizia Penitenziaria e queste sono le conseguenze. E coloro che hanno la responsabilità di guidare l’Amministrazione Penitenziaria si dovrebbe dimettere dopo tutti questi fallimenti. Rifuggiamo il sospetto che possa esserci un “disegno” che porta alla destabilizzazione della sicurezza, forse finalizzato ad abolire 41 bis ed ergastolo ostativo… Noi non facciamo la politica dell’esecuzione penale ne vogliamo intrometterci ma non possiamo accettare di fare da capro espiatorio in questa disfatta dello Stato all’interno delle carceri. La Polizia Penitenziaria fa fino in fondo il proprio dovere: le responsabilità dunque vanno cercate altrove!”.
Capece esprime “solidarietà e apprezzamento per la professionalità, il coraggio e lo spirito di servizio che quotidianamente mettono in luce i poliziotti penitenziari in servizio nel Lazio. E’ solamente grazie a loro, alle donne e agli uomini del Corpo, gli eroi silenziosi del quotidiano a cui va il ringraziamento del SAPPE per quello che fanno ogni giorno, se le carceri reggono alle costanti criticità penitenziarie”.
Dura la critica del SAPPE ai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria: “In tutto questo contesto, il Capo dell’Amministrazione penitenziaria Consolo si preoccupa di cambiare taluni vocaboli ad uso interno nelle carceri e non a mettere in campo adeguate strategie per fronteggiare questi gravi eventi. La preoccupazione del DAP è che non si debba più dire cella ma camera di pernottamento, la domandina lascia il posto al modulo di richiesta, lo spesino diventa addetto alla spesa dei detenuti, non ci sarà più il detenuto lavorante ma quello lavoratore e così via”, conclude. “Questo aiuta a capire quali evidentemente siano le priorità per il Capo dell’Amministrazione Penitenziaria. Non il fatto che contiamo ogni giorno gravi eventi critici nelle carceri italiane e laziali, episodi che vengono incomprensibilmente sottovalutati proprio dal DAP. Che ogni 9 giorni un detenuto si uccide in cella e che ogni 24 ore ci sono in media 23 atti di autolesionismo e 3 suicidi in cella sventati dalle donne e dagli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria. Non, insomma, soluzioni concrete alle aggressioni, risse, rivolte e incendi che sono all’ordine del giorno e frequentissime anche nelle celle delle carceri del Lazio, visto anche il costante aumento dei detenuti in carcere, o all’endemica carenza di 7.000 unità nei ruoli della Polizia Penitenziaria. No. La priorità, per il Capo DAP, è la ridenominazione delle parole in uso nelle carceri…”.