I più giovani lo ricorderanno in tuta,davanti la panchina del Catania. Chi invece ha qualche anno in più, ne ha memoria anche in mezzo al campo, leader di Perugia, Ternana, Empoli e Palermo. Gianluca Atzori, di calcio, ne ha visto e vissuto tanto. Giovane talento della Lodigiani prima, ragazzo del Fila poi.Tanti anni a battagliare nel professionismo, in una storia nata a Ciampino,dove l’attuale tecnico della Pistoiese è cresciuto, con il pallone incollato al piede.

atzori intervista ciampino calcioMister Atzori, apriamo subito il baule della memoria: qual è il suo ricordo di Ciampino?

Mi ricordo ancora tutto benissimo,nonostante sia ormai passato diverso tempo e ora abbia quarantacinque anni: è tutto perfettamente stampato nella mia memoria. Pensi, proprio pochi giorni fa ho provato a rientrare in quello che era il mio vecchio istituto scolastico, per cercare quel campo in terra dove trascorrevo ore interminabili a giocare a calcio. Purtroppo l’ho trovato incolto, non curato e mi è veramente dispiaciuto. È riaffiorato ogni ricordo: il vialetto di ghiaia che ci conduceva agli spogliatoi, il campo sconnesso che a noi ragazzi faceva brillare gli occhi. Il lungo tragitto a piedi, per andare e tornare verso casa mia, a Morena, col borsone sulle spalle. Lì ho vissuto la mia infanzia, anche grazie a una persona che voglio ricordare e alla quale sono molto legato: Flaviano Chiaventi.

Da Ciampino, la sua carriera ha iniziato a prendere forma con l’approdo alla Lodigiani.

Assolutamente sì. In biancorosso ho trascorso sei stagioni ed è lì che sono realmente divenuto un professionista, iniziando a giocare nell’allora serie C2 già all’età di sedici anni. Ma il settore giovanile della Lodigiani, all’epoca, era considerato secondo solamente a quello di Roma e Lazio. Grazie a quella esperienza convinsi il Torino ad acquistarmi, sborsando 850 milioni di lire, una cifra che all’epoca era considerata incredibile.

Ecco,Torino. In granata il primo successo: 4 giugno 1991, nella finale della MitropaCup. In quegli anni, un trofeo che aveva il suo valore.

Sì, era una Coppa decisamente importante. Mi ricordo che mister Emiliano Mondonico, nel pre partita, mi disse: “ehi, bambìn, l’Italia ti guarda!”, perché la gara sarebbe stata trasmessa in diretta tv dalla Rai. Giocavamo contro il Pisa, al fianco avevo campioni come Martín Vázquez e Leo Junior. Ricordo che per me fu fondamentale l’aiuto di Roberto Policano, che in quell’occasione mi fece da fratello maggiore. Un vero punto di riferimento, sempre pronto a incitarmi dopo ogni passaggio.

Emiliano Mondonico che tecnico era?

Sanguigno, genuino, istintivo. Quando doveva dirti una cosa, lo faceva subito, senza giri di parole o aspettare si fosse al chiuso, nello spogliatoio. Io era ancora nelle giovanili, mi allenav onel vecchio Filadelfia, ma il giovedì prendevo sempre parte all’amichevole in famiglia, con la prima squadra, e il mister mi metteva in marcatura su attaccanti come Luis Muller e Haris Škoro, chiedendomi di non fargli toccare il pallone. Quando la sera tornavo al convitto, non avevo neanche la forza di andare a cena: crollavo sul letto alle 7.00 di sera. Ma per me quei giovedì erano qualcosa di unico.

Da Torino, ecco arrivare gli anni in Umbria: prima alla Ternana, poi al Perugia.

A Terni ebbi la fortuna di incontrare sulla mia strada Roberto Claguna, che ora non c’è più, ma è rimasto sempre nei miei pensieri. Una persona incredibile, abile nel lavorare con i giovani. Quando poi sono passato al Perugia, Ilario Castagner è poi riuscito a farmi progredire nel percorso che avevo iniziato in rossoverde. Quel Perugia poi era veramente forte, anche perché il presidente, Luciano Gaucci, non allestiva mai squadre solo per partecipare. Avevo compagni come Rocco Pagano, Giovanni Cornacchini, Andrea Camplone. Giocatori di primissimo piano. Non fu facile trovare spazio, anche perché il livello di allora era decisamente alto.

Poi c’è il suo grande rapporto con Silvio Baldini.

Da Silvio ho ripreso tutto.L’allenatore che sono adesso nasce da quello che ho imparato da lui, nelle stagioni a Empoli e Palermo. Logicamente, ho poi reinterpretato tutto seguendole mie idee di calcio, ma gli insegnamenti di Baldini li ritengo una tappa fondamentale.

È stato calciatore, ora è tecnico. Quanto è cambiato il calcio in questi anni, a suo modo di vedere?

Credo che il livello si sia un po’abbassato, rispetto a quando indossavo gli scarpini. La Serie C all’epoca era un campionato veramente duro. Ora, con i giovani di lega, tante società lanciano i ragazzi guardando più all’aspetto remunerativo che alla vera crescita di quest’ultimo. Prima, per poter stare in campo, bisognava essere veramente pronti.

Come si lavora per tornare a formare i giovani come un tempo?

Oggi risiede tutto nel passaggio dalla Primavera al professionismo. Credo che molti club dicano di scommettere sul settore giovanile solamente come dichiarazione di facciata, ma in realtà tanta gente che gravita in quegli ambienti non è adeguatamente formata per far crescere un calciatore. Anche da parte dei ragazzi, però, non vedo la stessa voglia che spingeva noi tanti anni fa. Ora, a fine allenamento, pensano solo a correre sotto la doccia per godersi il resto della giornata. Mi piacerebbe vederli restare al campo, anche dopo la fine della seduta. Passare quella mezzora in più al giorno, per lavorare su quei fondamentali che ancora non hanno affinato.

Se ripensa ai giocatori che ha allenato, qual è stato il più talentuoso?

Sicuramente Beppe Mascara. Andatevi a rivedere alcuni gol che ha fatto, certi colpi straordinari. Penso fosse un giocatore che meritasse altri palcoscenici e di poter stare nella rosa di una grande squadra.

Quello che invece non ha avuto la carriera che meritava?

Takayuki Morimoto. Ebbi la fortuna di averlo a Catania, quando aveva ancora diciotto anni. Pensavo veramente avesse tutte le carte in regola per affermarsi nel nostro campionato.

Da professionista, quale consiglio vuole dare ai giovani che sognano un giorno di poter arrivare in alto con il calcio?

Di metterci passione. Dico sempre che non c’è sacrificio senza passione e penso sia vero. Senza la voglia, non si arriva da nessuna parte. Bisogna sempre amare quello che si fa.

Ora cosa fa mister Atzori?

Mi muovo, ho voglia di lavorare. Un mese fa sono arrivato a Pistoia e sono contento, perché questo è un club con una storia importante alle spalle, che nel passato è arrivato anche in Serie A.Certo, in poco tempo non si fanno miracoli. Spero di trovare la giusta intesa e poter proseguire anche la prossima stagione quel che ora abbiamo iniziato.