Greccio, borgo nel cuore del Lazio, affacciato sulla valle e immerso nei boschi, si trasforma ogni inverno nel palcoscenico di una magia: il primo presepe vivente della storia, tra storia e natura.

C’è chi lo visita in piena estate, inseguendo il fresco tra i vicoli in salita, ma è tra novembre e gennaio che Greccio cambia pelle. Non solo si accendono le luci dei presepi, sparsi ovunque, ma l’aria profuma di legna, intingoli e dolci appena sfornati. Le parole chiave, in fondo, sono sempre le stesse: storia, spiritualità, tradizione.
Il centro storico di Greccio, un intreccio di pietre antiche e salite brusche, accoglie chi arriva con una promessa di autenticità. Non c’è modo di restare indifferenti, forse sarà per il panorama che si apre improvviso sul Reatino o per quella calma fuori dal tempo che si respira nelle piazzette. In inverno, poi, la sensazione si accentua: i visitatori si mescolano ai pochi abitanti, tra botteghe che profumano di miele e taverne dove i piatti locali si fanno più robusti. C’è sempre un motivo per fermarsi, anche solo un attimo.
Greccio e il primo presepe vivente: una tradizione che parla al mondo
Le luci si abbassano, i silenzi si fanno più intensi. Dal 24 dicembre in poi, tutto ruota attorno a un evento antico eppure sempre nuovo: il presepe vivente di Greccio, il primo mai realizzato. San Francesco arrivò qui nel 1209, colpito dalla somiglianza tra questi monti e la Palestina. Anni dopo, la notte del 24 dicembre 1223, chiese che la Natività fosse rappresentata in una grotta con un bue, un asinello e la gente del luogo. Succede ancora oggi. I costumi (tessuti robusti, cuciti a mano, qualcuno arriva addirittura dal Teatro dell’Opera di Roma), le scene, i testi recitati con accento locale. Il pubblico assiste su sedie disposte in una grande tensostruttura riscaldata. Sei quadri viventi che scorrono lenti: la vita di Francesco, la Natività, i pastori. Ogni tanto, una raffica di freddo che entra dalla porta, bambini che si stringono alle mamme, profumo di caldarroste. Una di quelle esperienze che restano, anche quando si torna a casa.

Chi vuole seguire tutto l’itinerario trova una mappa alla Pro Loco, con date e orari dei quadri. E capita spesso che qualcuno rimanga senza parole, davanti a questo spettacolo che non somiglia a nessun altro.
Il Santuario di Greccio e i sentieri di San Francesco
Sali ancora, tra scalini consumati e scorci sulla valle, ed eccolo: il Santuario di Greccio. Incassato nella roccia, bianco, silenzioso, sembra quasi sospeso sopra la Conca Reatina. Qui la storia si mescola al sacro. Si visita la Cappella del Presepe, che custodisce gli affreschi trecenteschi (qualcuno sbiadito, qualcuno sorprendentemente vivo), poi la chiesa più moderna e la grotta dove Francesco riposava sulla pietra.
Basta poco per sentirsi fuori dal tempo. La voce delle guide, qualche suono d’acqua che scende dai canaletti, i passi che risuonano tra le navate. Fuori, una terrazza spalancata sulla valle. Se capita una giornata limpida, si vede tutto: la Sabina, i monti lontani, il verde che si stende ovunque. Spesso il vento è forte, specialmente d’inverno. Un dettaglio che non tutti dicono: portate un cappello.
Da qui partono i sentieri che collegano Greccio agli altri quattro santuari francescani della zona. Il percorso completo misura una novantina di chilometri, ma anche solo un tratto regala scorci e silenzi. C’è chi viene solo per camminare tra le querce, chi cerca un momento di raccoglimento, chi semplicemente vuole respirare aria pulita. A volte, capita di incontrare qualcuno che si ferma, zaino in spalla, per mangiare una fetta di pane con il prosciutto acquistato poco prima in paese.
Il centro storico e le tradizioni che restano
Ritornare tra i vicoli significa riprendere il filo della storia di Greccio. Le origini greche si intuiscono nel nome, ma oggi tutto parla il linguaggio di un medioevo conservato con attenzione. Le rovine del castello, le torri che resistono tra gli alberi, la chiesa di San Michele Arcangelo: ogni pietra ha qualcosa da raccontare, anche se spesso lo fa a bassa voce. Non è solo bellezza da cartolina. Nel periodo natalizio, il centro si anima con i mercatini (profumo di spezie, voci, piccoli artigiani che lavorano il legno), mentre il Museo Internazionale del Presepe attira curiosi e appassionati. Da una finestra del museo, la vista sulla valle è qualcosa che resta negli occhi. Sembra quasi di toccare il paesaggio.
Poi ci sono i sapori, parte integrante di ogni passeggiata a Greccio. Taverne e locande propongono piatti della Sabina: tagliatelle fatte a mano con funghi e tartufi, cannelloni di carne, salumi, formaggi e porchetta. Nei giorni freddi, si apprezza ancora di più. Tra i dolci, vanno forte il panpepato, le ciambelline al vino e i biscotti secchi con le noci. Sono sapori che raccontano la storia del luogo, senza bisogno di troppe parole.
Un dettaglio curioso: capita di vedere, nei bar del borgo, vecchi che discutono animatamente del presepe. Nessuno ha mai trovato un accordo su chi debba interpretare il ruolo del bue o dell’angelo. E ogni anno si ricomincia da capo. A volte basta alzare lo sguardo, tra una bottega e l’altra, per scorgere il fumo che sale dai camini. Il segnale che, anche in un borgo piccolo come Greccio, la vita scorre lenta ma piena.
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