Nel cuore dell’Umbria, il Bosco di San Francesco si trasforma in una meta insolita a fine novembre: sentieri morbidi di foglie, aria frizzante e antichi alberi che sembrano custodire storie dimenticate. Basta poco per cambiare ritmo, lasciando alle spalle la folla di Assisi e trovandosi, in pochi passi, tra spiritualità, natura e un silenzio che invita ad ascoltare.

Chi ci è stato lo sa: il passaggio tra la città e il bosco è quasi una soglia. Il brusio delle comitive, i passi rapidi sulla pietra, le voci che riecheggiano sotto le arcate della Basilica si dissolvono piano, appena oltre il cancello. Sembra una piccola magia quotidiana, soprattutto in autunno, quando la giornata accorcia e ogni dettaglio diventa più intenso. Una sciarpa sulle spalle, un respiro più profondo, le mani che cercano nelle tasche il calore rimasto.
Sarà forse il profumo dell’autunno che indugia tra le chiome, o il gioco delle ombre tra i rami spogli: il Bosco di San Francesco è uno di quei luoghi dove il tempo non scorre mai allo stesso modo. Nei giorni di fine novembre, la luce si fa più bassa, i rumori si attutiscono, il paesaggio invita a rallentare. Qui la storia di San Francesco si intreccia con il respiro della natura, creando un mosaico di emozioni e scoperte che non appartiene solo ai pellegrini. Camminare tra questi sentieri significa anche attraversare secoli di storie, piccoli resti di architettura sacra e tracce di antichi mestieri. C’è chi arriva per ritrovare sé stesso, chi semplicemente per respirare, chi per curiosità. E basta fermarsi un attimo, magari seduti su una pietra umida, per sentire davvero il bosco intorno.
Sentieri e spiritualità: il Bosco di San Francesco tra storia e natura
Varcare il cancello del Bosco di San Francesco, pochi metri oltre la Basilica di San Francesco, significa abbandonare la pietra di Assisi per immergersi in un regno verde. Non si tratta solo di una passeggiata, ma di un vero percorso di riconciliazione tra uomo e paesaggio, tra passato e presente. I primi passi costeggiano il muro della Basilica, poi, quasi all’improvviso, un passaggio nascosto si apre tra le pietre. Questo era un tempo il cosiddetto “colle dell’Inferno”, rifugio di briganti e anime in fuga. Con l’arrivo di San Francesco e la costruzione della Basilica, la collina ha cambiato volto: ora la chiamano “colle del Paradiso”. Basta alzare lo sguardo per rendersene conto. Un dettaglio curioso: proprio qui, le foglie crepitano sotto i piedi come piccoli fuochi, mentre i rami secchi disegnano figure strane contro il cielo grigio di novembre.

Non c’è fretta. Dopo pochi passi, si arriva alla Campana della Pace. Realizzata nel 1986, in occasione di una storica giornata di dialogo per la pace, la campana è sostenuta da quattro archi metallici che evocano le grandi religioni del mondo. Chi si ferma ad ascoltare, percepisce un silenzio ancora più profondo. Talvolta, una brezza fredda ne fa vibrare il metallo: in quei momenti, il messaggio sembra più chiaro. La pace, qui, è qualcosa che si respira.
Statue, selve e antichi mestieri
Lasciata la campana, il sentiero si fa più morbido, a tratti scende nella Selva di San Francesco, tra querce secolari e radure dove il sole filtra appena. Ogni tanto, appaiono statue silenziose, quasi nascoste. Sono doni dei frati, ognuna diversa, ognuna con un messaggio da decifrare.
L’atmosfera cambia: il bosco si fa più chiuso, i passi si attutiscono. Non c’è molto rumore, solo il fruscio delle fronde e, se si è fortunati, qualche uccello che si sposta in cerca di cibo. Più avanti, oltre un muro antico, ci si imbatte nel Ponte dei Galli. L’acqua scorre lenta sotto le pietre, accompagnando il cammino con un suono che ricorda certe notti d’inverno in campagna.
C’è ancora un ospedale dimenticato, qualche traccia di calcinaie (le vecchie fosse dove si cuoceva la calce) e poi, quasi d’improvviso, una chiesetta semplice, quasi timida: la Santa Croce. Tutto intorno, orti e resti di antichi mulini raccontano di una vita operosa, fatta di piccoli gesti quotidiani e stagioni che passano lente.

Vista sulla Rocca e il Terzo Paradiso: l’arte che unisce uomo e paesaggio
Alla fine del percorso, una radura si apre sul profilo severo della Rocca Maggiore. Pochi turisti da queste parti, solo qualche curioso che si avventura oltre i soliti sentieri. Qui si trova anche qualcosa di inaspettato: il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, un’opera di land art realizzata con 121 ulivi che formano un simbolo d’infinito.
Per apprezzare davvero la geometria di questo progetto, conviene salire sulla Torre Annamaria, costruzione medievale che regala una delle viste più insolite di tutta la valle. Lo sguardo abbraccia il bosco, la Rocca e, più lontano, le pietre rosate di Assisi. È uno di quei panorami che rimangono nella memoria, specie se il cielo si tinge dei colori freddi della sera.
Il ritorno avviene con passo lento, magari seguendo il Tescio fino ai ruderi di un mulino del XII secolo. La sensazione, tornando verso Santa Croce, è di aver attraversato non solo un bosco, ma una trama di storie e visioni diverse. Resta addosso un senso di calma, di tempo sospeso. Forse, basta davvero poco per cambiare prospettiva.
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